I suoi piedi ancora caldi scivolano
lentamente sul pavimento gelato come le lame dei pattini che
disegnano cuori spezzati sul ghiaccio. Quello squillo quasi monotono
del citofono suona fra i suoi pensieri ancora annebbiati a causa del
sonno. Percorre il corridoio che le appare chilometrico, avviandosi
verso la porta, dietro la quale sa che c'è una luce accecante.
“Arrivo, arrivo!” esclama, senza badare al fatto che i suoi
capelli siano disordinati e che sotto i suoi occhi ci siano dei
lividi neri: occhiaie.
Davanti a sè trovo una figura maschile
dalla pelle pallida come la luna, lui emana una luce angelica come
quella di un santo. I suoi denti bianchi come l'avorio non compaiono
da sotto le sue labbra. Lei sa che è successo qualcosa. Gli occhi
del ragazzo sono un bosco, un bosco verde immenso. Ogni volta che lo
vede lei ci si perde, come se ci corresse in mezzo, sorpresa che
tutti gli alberi intorno a lei brillino. Ma oggi è in quel bosco che
non brilla, i suoi passi sono pesanti e non riesce ad andare avanti.
Nemmeno lui.
A volte non servono le parole. Basta
vedere che gli occhi non brillano, basta ricordarsi com'era: per poi
paragonare il ricordo con il presente. E sapere che il presente è il
futuro, se non peggiora.
Lei annuisce, abbassando lo sguardo.
Non vuole sentire quelle parole, può immaginarsele. Non vuole una
spiegazione da parte del ragazzo: nessuno può rendere comprensibile
il fatto che alcuni sentimenti non ci sono più attraverso delle
parole. Basta uno sguardo e un ricordo.
di Perla